Palpita la natura
con il sole all’azimut
mi attardo a guardare
le barriere d’acqua,
che mi sfidano
con cupi boati.
L’indistinguibile
esercito dei fantasmi
mi cinge d’assedio,
gli arceri del mare
scoccano aguzze
le frecce d’acqua.
Sulla punta delle minacce
dio si è perso nel vuoto.
Mi batto con le branchie piegate
ai primordiali elementi
dove la molestia delle acque
irrompe con grigio furore
sulla calamita della vocazione.
Con ago e filo rattoppo
la rete tranciata dell’anima.


inedito da “Ospite sulla Terra



Le parabole ci hanno guidato
sino a qui
con segni eclissi e calendari
la stagione muta
la spada dell’inverno esce
dal fodero
il fiume si trasforma
senza conoscere il punto di approdo.
Distruggo queste pagine
che non sanno dare carezze
ma solo bruciare senza scaldare.


inedito da “Cigni di Giada




Penna di fuoco,
incandescenza della sterilità
la parola non si fa trovare
nella ragnatela del cielo.
Qualcuno chiuda la porta
spenga la luce,
lasci sognare vele in viaggio.
La miniera di luce della luna
da sola illumina
l’arcobaleno di neri precetti.


inedito da “AZIMUT”




DALIBOR


La vita da custode del Castello
è colma di noia
portata da turisti svogliati
che molestano il sonno
delle sedie intorno ai tavoli,
dormono gli arabeschi dei tappeti
e gli specchi stanchi di ritornare
la luce delle grandi finestre.

Non suona più il violino
nella cella
casa della luce spenta
dove non fiorivano le rose
dove accendesti il fuoco
per una libertà
che non voleva soldati
o custodi imbalsamati
come trofei di caccia.



da “Dalibor” EDIZIONI IL GRAPPOLO, 2011
Il tramonto colora grappoli
di parole spremute
del succo che scende
a baciare la terra.
Guarda il prodigio che trasforma
la lucida materia
dei chicchi superbi
in pensieri estorti come nettare.
Senti nel sogno il profumo del mosto,
la polpa scarnita dall’invidia
del dolce profumo.
Senza più dire nulla più dare
restano in silenzio
tralci orfani di grappoli
inchiodati alla croce.
E’doloroso distacco
questa vendemmia senza parole.


inedito da “Il Centro del Mondo




La neve di farina
non scende dal cielo
per i poveri che vedono
solo parole diroccate.
Il pane è un’allucinazione
che munge solo sguardi
di bocche dormienti
su ciminiere di sequoie.

Povertà accecata
dal vessillo dell’opulenza
che preme pelle contro pelle,
i corpi barcollano
gli occhi si chiudono
davanti alla fiaba scomparsa.

Se avanzerà posto, appassiranno
pigiati sullo sfondo dell’uguaglianza,
mito perfetto dell’ipocrisia.
Senza spingere, per carità.




inedito da “La Stanza degli Specchi