IL SOLE DEI RICORDI

Il manto di bianche falde la sera vede cadere improvviso
i sentimenti sono orme davanti al fuoco, rossa compagnia,
scrive l’anima del poeta con i guanti alle mani
per il gelo che va oltre alla notte che supplica
la luce di astri ma l’olio della lampada è congelato.
Il freddo va oltre i confini, il tempo lo segue
ma rimpiange il tepore.
Quante impronte ha lasciato l’odio sulla strada della vita
non ha più fede la verità morta prima di aver vissuto.
Ogni parola un nome una storia un compagno caduto,
c’è al mondo un cuore nel quale vivo,
le ultime parole di impavidi non fuggiti ai fucili
celebrano le tenebre nel sonno,ombra della vita,
i tormenti non cessano svegliano la notte
e interrogano con sudate domande quel comandante
del pensiero che nasceva ogni nuova alba
nel profondo del bosco nelle agitazioni nuove
e ribelli.
Era lui il portatore della fede tagliata con la falce
e abbandonata sul tappeto del fiume gelato
nelle risate dell’inverno che tutto coprono
con il calmo oblio, l’aria intrisa di sangue era colla
per erigere quel mondo di fantasia sbocciato nei sogni
del giovane graduato.
La casa di legno lo aveva accolto nella foresta
tra verdi ombre e il delicato muschio,
nessun pensiero osava avventurarsene al di fuori.


Di storia aveva vissuto e la storia lo aveva spinto
nella solitudine di giorni ispidi come una barba bianca,
la mente si dibatte contro la riva dei ricordi e si nasconde
furibonda tra minacciosi massi, più cupi della notte.
Solo il vento di ghiaccio tremando fece sussultare
quel mare nero del calamaio tenuto stretto
nella mano del dolore che vive e ripensa,
un’onda del vento che si fa burrasca o la vicina conifera
greve di neve cade sulla coltre, che importa se la memoria
ha rotto la quiete della nostalgia?
Sono nel mare del nulla e nulla può più desiderare
amare vendette che non riescono a zittire
quella volontà passata e sepolta, le ore sono quelle,
ricami nel buio, e nessuno può mutarle
come il destino reo di aver infranto moltitudini di cuori
per un’idea che ora vive sola sulla terra.
Un nuovo rumore rimbalza nella mente ma il sogno è altro
e non offre che silenzio, il cuore afflitto solleva i ricordi
degli agguati, inesorabili nel regalare la certezza
della morte improvvisa, la mano gelata urta la tazza di the
e già brandisce il fucile, il fuoco del camino che consola
muore per il calcio dello stivale, il corpo si abbassa
sempre pronto anche senza sentire la tromba dei nemici.
La mente torna a nascondersi là, tra gli alberi che odiano
gli avversari di sempre, rivali in ogni affanno della vita
spesa tra i fischi delle bufere dove le grida dei feriti
si congelano nell’universo bianco e insapore.


E’ breve la consacrazione agli astri dell’amarezza.
Lo spiraglio della porta si apre quasi da solo
e la mestizia della notte accompagnata dalla luna
appare ai suoi occhi.
Meno di un lampo e lo sguardo incontra l’azzurro
del riflesso di occhi immobili come spade di ghiaccio,
lo guardano rigidi ma innocenti, riappacificati con
i pensieri deboli, non rivelano intenti aggressivi.
La tensione tocca la luce delle stelle, ruggisce la terra
a quella vittima indebolita per la fame e il gelo
che uccide senza che in giro si sappia.
Nell’attimo il dito dell’uomo cerca il grilletto e sente
dentro il godimento per essere, lui, più forte
di un lupo imbelle.
Ecco il demone che rende la notte una catena di spine
quando echeggiano quegli ululati, padroni della foresta,
non ama la luce ma ha cercato quella umana illusione.
E’ lo spirito della colomba che fa spegnere la lingua
di fuoco se ti ha portato fin qui con il manto bagnato
e orfano di forze che il sentiero ha preteso per sé.
Eppure esibisci quella dignità che protegge la bellezza
nell’ultimo istante di vita: vattene prima che la follia
del colpo diventi rinuncia e la terra domani sarà anche
cimitero di animali, verde che si colora a primavera
quando il giallo dei grandi fiori insegue il sole.
Ma quello scheletro coperto di pelo rimane, inanimato,
misura forse la distanza per l’attacco? Ma nell’aria
che si fa blu non vede il branco, non sente le forze
vicine. La luna ha fatto un incantesimo.
Di più bruciano le guance dell’uomo quando
una tristezza infantile fa abbassare lenta quell’arma,
la luce ora non illumina più lo spirito del pericolo
ma lo squarcio sul fianco che macchia il candore
della neve.
Hai portato proprio qui l’arroganza di fiera
per trovare il mistero che recide il filo della vita.
La domanda scivola dalla mente come la valanga
dalla montagna e mentre la notte introduce
il canto della vendetta quel corpo esangue
si abbatte con lenta dolcezza nel silenzio sacro.
L’uomo conosce ogni cosa di quegli animali
dal naso a punta, la visione fuggitiva, il momento
incantato di quando appaiono, la feroce vanità,
l’impeto ribelle: li ha cacciati inseguiti abbattuti
per assicurare la vita del reparto e ora la severità
del cuore si fa mesta e colma di dubbi per l’incapacità
di consolare quell’anima che parte per altre foreste
imbiancate.E la vita le lacrime e l’amore si svegliano
nel giorno della tristezza: il presente è malinconico,
tutto è fugace, tutto passerà.
Le stelle della notte partoriscono la luce delle idee
mentre la mente del vecchio rimane opaca,
preda della gravità che sa decidere, il buio ha
la sua preda, si invertono i ruoli.


Diavolo vestito da pelliccia, alfiere di sogni
irrealizzati, di speranze congelate
hai trovato il travaglio dell’animo che ti investe
nel tormento di quel corpo agonizzante
che ulula alla coscienza.
Il cielo si abbassa quando la neve prende a
mulinare più forte,nella turbolenza della lotta
infiammata l’incantata stella dell’anima si affaccia,
il soldato si trasforma in piumato cigno,
dolcezza di un seme che il fato fa crescere.
Il tempo delle ferite del cuore muta quella natura
di ricordi non più aspri.
Le raffiche del vento sono note del concerto
che quel pelo rigido dirige sul palco dell’orchestra,
le note della rivoluzione portano con sé
vecchie illusioni mentre la bandiera della vita vincitrice
si alza nel rosso del sangue di chi muore,
nell’estasi del momento escono dal rifugio le lacrime
dell’uomo innamorato senza gioia mentre un barlume
di umanità cerca la coscienza nella triste dimora
della storia che scade.
Affiora il bucaneve nella notte eterna,nella sventura
di un misero palpito figlio dell’umana miseria convertita
a quei lamenti, il peso è greve ma quei lamenti
possono dar sollievo. Le braccia abbandonano il fucile
e sollevano quel pelo scarno, già freddo sulla strada
dell’agonia e lo avvicinano al fuoco ravvivato
da nuova legna.


Negli occhi del vecchio appare la speranza,
tinta di rosa, brillano le luci delle illusioni
in un mare che è troppo lontano dalla riva,
distanza inadeguata, percorso disperato.
Il tempo spinge i cavalli sulla strada dell’agonia,
sogna il lupo la sua tana nascosta ai cacciatori,
rincorre quelle corse verso la libertà
sotto le stelle appassionate da quei giochi,
sogna gli odori che il vento portava
con il fiuto del pericolo,la frenesia dell’attacco,
il mistero dell’uomo tessuto di paura e diffidenza.
Il fondo del vascello ha smesso di giocare e dirige
i suoi flutti a salutare gli incontenibili fantasmi.
Quella disperazione incontenibile contro la potente
furia che l’orso aveva portato alla tana
allora incustodita.Torna il mondo dei ricordi
trionfanti sul dolore che mesto si disperde
in mesti pensieri.
L’ultimo sussulto vede lo spirito di libertà,
bagnato di pianto, vagare nel paradiso degli innocenti.