MAGIA TERRESTRE


Il terrore mi prende tutto davanti a quel castello
che sfiora il cielo nel soffio della notte
quando ogni luce è caduta addormentata.
Il vento porta il suo rumore nelle visioni
di chi giace venerando il dio del sonno.
La luce è ancora lontana e sta contando i passi
tra le ombre e l’acqua nera sopra nuvole lacerate.
La sola fiaccola senza padre né madre brucia senza soste
nelle umide segrete dell’antico maniero
dove per ordine imperiale il vecchio era stato rinchiuso,
nella fortezza dove il mondo non arriva
se non con il grigio dei topi,la disperazione conosce lui
e lui la pena di lei che soffre e subisce da anni.
Conosce il buio della morte che si può solo provare
comprendendola, il tempo ha regalato quella facoltà
e con il tempo il dolore esce palpabile col cuore
rivestito di pietra.
Diverso era quel camice in quel buio di laboratorio
dove la fantasia cercava la libertà ma di quel ragazzo
solo l’ombra è rimasta lastricata sulla piazza
della città che lo aveva accolto neonato,
tra atrii rubati e spiriti volanti,
una carrozza di fuoco scambiò lo spirito ardente
per quello di mago, nato col dono di dar vita a quella pietra,
unica sulla terra di tramutare roccia in scintillante oro.


Vite sacrificate oppresse dalla incoscienza.
Nessuno sulla terra può portare il Vello d’Oro,
riflesso d’inganno,
quante volte il dubbio di non esser più
valente alchimista assale il vecchio, guarda la terra
piena d’ombre, venate d’illusioni infinite,
vacilla la mente per la scoperta di trovarsi tra le mani
la pietra sacrilega che l’ordine sovrano impone,
ampolle, alambicchi, fiale, boccette,misture, unguenti.
I vapori cantano un giorno la speranza un giorno
la greve tristezza il fuoco fluisce recando lo sconforto
che cuoce inutile come il sangue che scorre nelle vene,
la notte specchia la pesante vita dal freddo soffitto
dove la luna trapassa il blu che divide l’angusto spazio
delle barre della inferriata da dove cresce la delicatezza
di una minuscola mimosa.
Lei era certezza,pensiero dell’oggi, premura dell’acqua
che il vecchio le offre, poi lo sguardo distrutto, il nulla
solitario senza l’anima del focolare,
in quel giallo di natura nata sul confine della prigionia
gli stanchi occhi del vecchio vedevano il mondo la pioggia
il sole indifferente. L’umido che trasudava dalle pareti
non si perdeva nulla di quella solitudine compiuta
anzi la partecipava.
Tutto è chiaro come il mare in cui annega idee sposate
a progetti d’amore consumati nell’orribile pertugio
della sera dove il maniero si è fatto bianco
per i mille candelieri che mettono in mostra
il fascino delle dame,
nell’armonia della musica si muovono
brevi passi cadenzati
alternati a meccanici inchini
mentre volti velati lanciano al cielo
il segreto dei messaggi
sotto i ventagli delle maschere.
Anche il sovrano mira quel finto paradiso
che la corona concede
alle menti perse nella nebbia della ragione,
delirio che va all’altare con dolore
per trovare nella chiesa vuota
il fantasma della solitudine o la gerarchia
degli antenati che lo irridono sfuggendolo.
Non consola la reale mestizia
la pena di quel vecchio che paga
la promessa di libertà con la folle speranza
di fargli dono di un mondo fatto di oro,
viene il buio completo, viene il sonno del vecchio
dove i pensieri si fanno turbolenti
e idee alte come onde, ciascuna con l’arroganza
di essere quella eletta, nel moto infinito
del grande mare
ma la più umile tra tante reca il sogno di mistura
dal nome sconosciuto,
sospesa nella distesa del sapere
in attesa da sempre di articolata soluzione.
Il giorno non ancora nato vede già gli occhi chini
del frenetico estro sull’esperimento,
suda la fronte torrenti che approdano
sul delta degli occhi
al calore del fuoco che cuoce l’impasto,
nuovo mistero di un crepuscolo sconosciuto,
la lucidità della mente si unisce a quella delle mani,
la vitalità sceglie altre strade per far arrivare prima
più fresca e baldanzosa la stanchezza, nuovo guanciale
su cui posare il capo
stremato dal tormento del meditare.
Il fuoco si paralizza senza rumore
nella legna che si è fatta cenere nel lasciare la scia
di soave profumo che va a riempire la cella
e la mente dell’incosciente, fermo si sulle vecchie
gambe ora tremanti,
la curiosità accende la fiaccola e gli occhi sfocati
intravedono nello stampo cosa nuova, materia sconosciuta,
non gialla come oro ma bianca come neve,
dura come il marmo lucida come strada bagnata
che si fa ammirare dallo sguardo della mente inquieta
e sorpresa per l’inattesa illusione.
Il miracolo infonde la paura di pensare a quella stranezza
nata nel forno della prigione, anch’essa prigioniera
ancor prima di nascere, per pensiero o volontà?
La pioggia cessa, cade l’oscuro del buio,
batte il cuore più in fretta nella ebbrezza
che attende la nuova vendemmia,
la guarda la gira la tasta, no, troppo presto,
quel calore scotta le mani come la cella ha indurito
il cuore, pronto per il tumulo finale
ma improvvisa si fa sorpresa, esce un grido
araldo di esultanza che annuncia al mondo il prodigio
che la vita ha appena partorito.

Il destino fa festa con il vecchio
e insieme gustano quel sapore
che prende la vita prima di andarsene,
solo sulla terra
gli si illumina il viso per quella sfida
lanciata due palmi di anni prima
e vinta con lo sforzo che le stesse mura
riconoscono superiore all’imbelle potere,
la carne reclusa rivive al posto della morte
che resuscita, evade il silenzio dalla cella
con quell’oro bianco, luminoso come neve
lucente conchiglia che nessuno conosce
e l’animo colmo di indulgenza va
senza che nessuno conosca la profondità
che il nuovo spirito suggerisce,
nel ricordo di un essere vecchio,
ora nuovo.