La felicità deriva dal piacere e il piacere non è mai abbastanza, giusto?
No, sbagliato.
Gli scienziati amano definire le cose che studiano e la felicità è uno di quegli argomenti difficili da definire. Certo non basta liquidarla come assenza di infelicità. Essere felici è una combinazione di sensazioni e emozioni che vengono percepite coscientemente come una disposizione permanente di un determinato stato mentale costituito principalmente da un piacere dei sensi e da un piacere del vivere e del fare. Ma il piacere non è felicità ed è riduttivo persino associarli tra loro.
Il piacere è solo un bieco servitore delle utilità Darwiniane: cibo e sesso ad esempio. Per la sopravvivenza del più adatto e della specie segue da sempre principi semplici e tuttavia tirannici: classifica gli stimoli in positivi e negativi, cerca la ricompensa, evita i dolori, che siano - in entrambi i casi - fisici o psichici e finalmente li trasforma in emozioni. A quel punto basta ricordare che cosa dà piacere e che cosa dolore, correre verso il primo, correre sempre, ma in direzione opposta, via dal secondo.
Almeno nelle altre specie funziona così, mentre noi, con un ineffabile talento per complicarci la vita, riusciamo talvolta a fare l’esatto contrario: corriamo verso il dolore e ci allontaniamo dal piacere.
Ma il primo passaggio nella generazione delle emozioni è la rappresentazione implicita del valore di uno stimolo piacevole, a cui segue una risposta fisiologica e, che solo allora, un’esperienza cosciente possa riuscire a trasformarsi in una forza evoluzionaria. Sarebbe dunque stata l’evoluzione di queste esperienze emozionali più che la “semplice” selezione naturale ad aver guidato le civilizzazioni umane perché laddove il solo evitamento del dolore e la ricerca del piacere sono egoistiche e non costruiscono niente, l’evoluzione di una specie complessa come la nostra si basa anche sulla perfetta consapevolezza del benessere e del malessere degli altri, si basa - in fondo - sull’empatia. In questo nessun altro animale, neppure i primati, è neppure minimamente in grado di essere come noi.
Gli uomini sono eccezionali nella loro capacità di sviluppare emozioni sociali come il senso di colpa e la vergogna che limitano il poter fare le cose generando un equivalente senso di impotenza e sono i primi ostacoli all’ottenimento di una felicità stabile.