Ci siamo mai interrogati se siamo liberi ma non padroni della vita?
C’é il dolore e c’ é la responsabilità ma l’uomo si interroga solo
davanti alla morte o anche davanti all’esistenza? Certamente è
giustificata la modalità di porre volutamente fine alla propria
vita, quindi da rispettare e l’altra da impedire anche contro la
volontà del prossimo.
Certamente in un caso si può presupporre una decisione meditata,
una volontà di scelta radicata nella persona e pienamente
consapevole, mentre in altre circostanze si può pensare a una
scelta dettata da un’esaltazione momentanea, dove la lucidità sia
assente e quindi incapace di esprimere una deliberata e cosciente
libera volontà come il gesto di chi agisce alterato da una
droga.
Ci può essere un’implicita violenza, un superbo senso di
superiorità nel credere che si possano legare le mani di chi vuole
impiccarsi e che non si debba invece legarle a chi vuol prendere le
pillole prescritte. C’è un momento in cui proprio il senso
cristiano della finitezza umana e della vita come viaggio aiuta a
dire di si alla sua conclusione e le mani, non più contratte
lasciano la presa.
Non è la Vita che non va idolatrata: sono i viventi che vanno
rispettati in ogni fase dell’esistenza, da quella debole nel grembo
materno a quelle deboli alla fine per passare a tutte quelle
intermedie, felici o dolorose. E’ assai difficile avere, in queste
cose, certezze.Probabilmente abbiamo perso la familiarità con la
morte che aveva la civiltà classica, il senso concreto di far parte
del gran fiume delle cose, del ciclo di aurora e tramonto, fiorire
e appassire, aggregazione e disgregazione degli elementi.
Si è forse data alla morte, permettendole di fare il gradasso e di
presentarsi come il trionfo del nulla e dell’insensatezza di
tutto.