Nelle istituzioni cosiddette totali la possibilità, quali una casa
di reclusione, la possibilità di ravvedimento e recupero di chi ha
commesso un reato, passa (anche) attraverso la coltivazione
dell’affetto. Alcuni pensano che l’intimità voglia dire “relazioni
extra” ma se analizziamo meglio la parola intimità ne escono
tantissime definizioni più appropriate. E proprio in un casa di
reclusione l’intimità è merce rara, a volte non viene rispettata
come nei colloqui o al passare del tempo in più con i propri figli,
avere degli spazi da condividere con loro, soprattutto avere la
possibilità di dire alle proprie consorti frasi che possano portare
loro gioia e speranza, cercare carezze, il gesto di prendere la tua
mano e il desiderio di essere accarezzate proprio con quella.
Ma anche tra gli stessi reclusi, quanti rispettano la propria e
l’altrui intimità? Intimità dovunque: nel dormire, nell’essere
coerenti nei comportamenti, rispettare ed essere rispettati.
“Privacy” vuol dire intimità, quella che manca a queste persone
c.d. ristretti e che non viene condivisa da molti, l’intimità che
viene a mancare il più delle volte quando si viene tradotti per un
processo o per una visita (capita che l’intimità venga scambiata
con arroganza). Quello che si vorrebbe affermare con maggior
decisione è che se la vita, o meglio un passaggio di vita, porta
via tutto, ebbene si possa fare in modo di rispettare sempre se
stessi e gli altri con cui si convive.
Anche il pensare in silenzio, meditare, riflettere, far venire a
galla la propria creatività, significa intimità, così come
accettare ciò che si è, ciò che si fa senza lamentarsi.
Questo aiuta, o dovrebbe aiutare, a far sì che i propri valori non
vengano meno ma aiutino ad essere uomini responsabili e avere
rispetto della propria intimità e di quella altrui.
In fondo l’intimità non è stare sopra un albero.