Proprio ieri, in pieno giorno, mentre percorrevo la più importante strada che dalla Stazione porta verso il centro città, mi è capitato di imbattermi in una figura sdraiata a terra, avvolta in una o più coperte, non era immobile ma dava segni di vita, muovendo le braccia come se invocasse il mio aiuto e biascicando frasi non meglio articolate. Generalmente di fronte a episodi simili la prima reazione da cui siamo colti è quella di ignorare questa specie di randagio umano e tirare dritto, o, diversamente, avvicinarci e capire cosa fare di fronte a quella singolare genia di invocazioni.
Ritornando al mio incontro, come avrei voluto essere in sintonia con quell’uomo e chiedergli di cosa al momento avesse più bisogno.
Ma quel suo biascicare mi aveva fatto intendere che parlavamo due lingue diverse in ogni senso. Forse chiamare il 118?
Ma sarebbero intervenuti? Quanti casi simili e più gravemente interessati da problemi di salute, deve affrontare di giorno in giorno, meglio sarebbe dire di ora in ora, il personale addetto alle emergenze.
Ero incapace di prendere qualsiasi anche banale decisione.
Sono entrato in un bar e ho comperato un panino e una bottiglietta d’acqua che ho portato a quel poveraccio. In questi frangenti si pensa sempre che chi sta poco bene abbia fame e debba necessariamente mangiare.
Così ci hanno cresciuti.
Quell’infelice, preso il panino e l’acqua, li mise da parte, quasi nascondendoli.
Non si trattava di atavica fame, dunque. Ma di cosa allora? Sentivo Il mio smarrimento trasformarsi sempre più in angoscia per la mia incapacità di reagire a quella condizione di esistenza infelice che si sarebbe certamente protratta chissà per quanto tempo.
Alla fine me ne andai non avendo trovato meglio da fare e rimuginando tra me e me i limiti relativi alla mia funzione sociale. In fondo era stato lui a lasciare me in una condizione di miserevole ignoranza e di insopportabile inadeguatezza.