PRESENTAZIONE


“La verità vi prego sull’amore” in questo verso indimenticabile Wystan Hugh Auden sintetizza il bisogno di comprendere la natura del sentimento che tutto pervade.
Cos’è dunque questa ineguagliabile “presenza”?
Nel suo ultimo libro, Notte di quattro lune, Marco Stefano Boietti tenta la sua personalissima risposta.
Suddivisa in quattro parti, corrispondenti a quattro fasi lunari “Nuova, Gibbosa crescente, Gibbosa calante, Calante”, la raccolta poetica si prefigge di approfondire il tema dell’amore percorrendone il ciclo vitale. Il ricorso alla metafora delle fasi lunari,
quattro per una notte, ben si addice alla misura della temperatura di questo sentimento irrazionale per eccellenza e già dal titolo, illuminato dal pallore e dal mistero della luna, è intuibile l’intenzione poetica, lo spirito alchemico con cui l’autore sperimenta amore e poesia.
Una sorgente continua di stimoli fluisce nella forma libera del verso. Come linfa vitale, alimentata dal fuoco del sentire, il poeta riversa nella scrittura tutta l’esperienza e i cambiamenti operati dall’intricata e spinosa “presenza”.
Leggerezza e gravità, delizia e tormento, la poesia di Marco Stefano Boietti è attraversata dalla luce e dal suo polo contrario, dall’energia di un sogno e dalla quiete del silenzio che matura i frutti amari della ragione, opposti che si cercano e si completano a vicenda.
Poesia dal ritmo preciso, dalle immagini limpide e molto potenti, versi che si muovono come una scrittura di neve. Talvolta una danza lieve, quasi una pennellata di inchiostro nel pieno rispetto del vuoto della pagina, una scrittura minuta che riduce ad una forma pura, spoglia, l’espressione del reale, talaltra, una scrittura assolutamente materica, in cui l’autore stende ogni singola parola con l’uso della spatola, i versi acquistano profondità e corpo, l’urgenza propria del desiderio.
Nella prima parte, “Nuova”, è possibile toccare con mano, rivivere, l’entusiasmo e l’energia dei sogni che abitano i primi incontri, scorgere lo spirito dell’amore. Una certa levità è rintracciabile in tutte le poesie.
“Nel mare di spighe /scendono i passi dell’ora / più attesa. /Sento i tuoi sandali spegnere / la luce. / Tra code di ombre e fiumi di baci.”
In “Gibbosa crescente” invece la natura incorporea trasmigra, tutta la sezione freme, ha un corpo e un’urgenza.
“Non cercarti nello specchio / nel dialogo spento/scendi adagio, a cercarmi, /spogliati, fondimi, riconosciti/piccolo cuore minuto/cuore che batte.”
“Gibbosa calante”
, terza parte della silloge è un’ombra che si insinua nel cuore del lettore, il dubbio insito nella decrescita del sentimento, tutto ciò che prima splendeva si ossida.
“Dal grembo del mare/ rossa/sorge la luna, /la falce affilata del desiderio/ci miete. /
I corpi si sciolgono nel nucleo/della terra/si legano a una lingua /di dolore.”


La quarta e ultima parte, “Calante”, è il nervo scoperto dell’opera, qui l’autore disvela il suo disincanto, l’amore è consumato dal tempo, non restano che ricordi, sbiadite immagini, passi nella distanza. Il poeta rivela la sua delusione, scopre la faccia nascosta della luna. Thanatos dopo eros, del resto amare non è forse anche un po’ morire nei baci mancati, nei baci passati, non è forse soffocare e implodere nel temibile vuoto dell’assenza?
L’uomo satellite ruota intorno a questo enigmatico pianeta e ne è attratto per distrarsi dall’autentico scorrere della vita, dalle tenebre del suo precipizio. L'uomo teleologico cerca un senso percependo di procedere verso “qualcosa” che lo spaventa. Questo “andare” non è altro che il fluire del tempo nella direzione della foce ultima e accettare un simile senso predestinato è dolorosissimo, è inevitabile tentare di nuotare controcorrente in cerca di un senso diverso. L’affettività quindi diventa l’ormeggio, l’elemento di salvezza decisivo. Sia ben chiaro, amare è un'esperienza meravigliosa, ma non disinnesca l'eventuale ritorno all'angoscia. 
“Si assomma, in ogni/anno di vita perduta/la trama di un giorno, /fallibili o superbi/siamo di un amore imprecisato/misura di tutto ciò che passa, /orme lievi del tempo. /Siamo niente.”
In nessuna poesia della raccolta è possibile intravedere un “qualsiasi” quotidiano, le pratiche, i ritmi incessanti della città in cui il poeta vive, tutto il reale lascia spazio unicamente al mondo immortale dell’amore, in cui radici e vene ululano.
“Ti riconosco/L’amore si riconosce/sempre/dal dolore che attraversa/il corpo/radici e vene ululano/come è difficile entrare nel tuo mondo immortale.”
È come se l’esperienza amorosa si limitasse esclusivamente allo straordinario ad un tempo sospeso e irripetibile, contrario alle leggi dell’uomo e al suo senso ultimo, misura lenitiva ed esclusiva di una creatura volubile. Nel poco comprensibile, nel fulmineo, l’unica possibilità di ghermire l’inafferrabile. La poesia e l’amore per il poeta rappresentano la sola via per ricongiungersi all’origine.
“Nel consumato/si concentra la miseria/dell’amore, /un tempo carceriere. /Invoco un paio d’ali, / due piccole camelie grigie/crescono nella terra di dicembre.”
In ultimo e su tutto alla domanda perché scrivere oggi poesie d’amore, la dichiarazione dell’autore: “Scrivo perché componendo, come con una lente, mi osservo, metabolizzo e invito ad amare”.

Emilia Barbato