Un commento sulla recente raccolta di poesie di Marco Boietti non può non partire dal titolo dell’opera: "Moti e Maree". Perché "Moti" sono le emozioni che l’Autore si trasmette e ci trasmette con spunti spesso onirici ma sempre calati poi nella realtà di una vita "priva" di qualcosa, a volte lontano, talvolta vicino, qualcosa che appare inizialmente sfocato ma poi prende forma ed è comunque lucidamente attuale nei pensieri dell’Autore: un Amore, un luogo, una stagione, una città in cui non ci si riconosce più, un giradischi (suonadischi!) che non funziona più (o forse ha smesso solo di essere - oggi - utile). Ogni sentimento è un elastico tra dolore e piacere, vicinanza e abbandono, illusione e delusione, sonno (o sogno?) e veglia, solitudine e minimo (ma perciò grandissimo) conforto nella sola (solita) presenza umana unicamente appagante: Lei. In questo contesto di emozioni ("Moti"), le "Maree" non son altro che le ciclotimiche ossessioni di sempre. Andate e ritorni, chiari e scuri, scoppi improvvisi e ovattati silenzi, profumi e anosmie, vita e morte (quella che non fa paura, perché, se c’è, ha lo stesso sapore del substrato da cui è stata generata).
In ogni poesia, in ogni frammento emotivo, Marco Boietti ci conduce in questo mare che si ritira, ma ritorna sempre lasciando ogni volta un’impronta diversa sulla sabbia. Sabbia come quella di una clessidra che segna il tempo, ma ogni volta può essere rovesciata come rovesciati sono i ricordi e come rovesciate sono le stagioni al di là dell’equatore, nelle frequenti visioni di panorami e percezioni di essenze tropicali ed orientali che l’Autore ci fa assaporare come una bevanda ri-tonificante. E tornando poi ai pacati toni del quotidiano, pur confermando i tratti di un’angoscia apparentemente senza limiti, ogni parola ritrova la sua pace. Una pace che può essere il preludio della fine, di ogni fine attesa e in fondo anche banale, in quanto microscopica particella in un universo di solitudine.

Recensione a cura di Maurizio Storti