Il vero protagonista del nuovo poemetto di Marco Boietti è il lato oscuro.
Vale a dire: fino a dove si è disposti a spingersi per arrivare a conquistare l'oggetto del desiderio, la promessa della felicità? Nuova Delhi, la ricchezza, il compromesso, il destino già segnato, il bisogno, i personaggi tratteggiati per vestire i panni di un clichè, sono l'occasione per parlare della miseria umana.
Due padri, uno dei quali adottato da una famiglia borghese a cui non è stato dato nè affetto, nè opportunità; l'altro erede naturale. Ed i rispettivi figli, il giovane avvocato viziato che lavora nello studio di famiglia, e un ragazzo condannato ad una vita sempre uguale, scandita dalla necessità e senza alcuna prospettiva che non sia guidare il taxi. Infine l'elemento destabilizzatore, l'amore rappresentato da una studentessa universitaria.
La storia è quella classica: lei, lui, l'altro. Ma è solo un espediente, il vero obiettivo è spaccare la superficie, trovarsi faccia a faccia con lo sporco che si cerca di mettere sotto il tappeto. Quello che si vuole, è far crollare la maschera del perbenismo. E da quel momento vedere crollare gli argini di una qualunque moralità. Non ci sono più limiti. Il discrimine tra male e bene è travolto dalla paura, dall'irrisolto, dal desiderio che mai si potrà ancora amare.
Per accendere la miccia niente di meglio di un amore travolgente non corrisposto. L'immaturità, l'incapacità di gestire il sentimento faranno il resto. Trascinando tutti nel baratro.
Il volume edito da L'arcolaio, è una sceneggiatura teatrale in forma poetica divisa in sette parti: New Delhi, Salti Immorali, Il Frusciare della notte, Oscure Trame, Il veleno del cobra, Il canto del Silenzio e Pallide Ombre.
L'intento di Marco Boietti è stato quello di usare la poesia come fosse un bisturi che potesse squarciare la superficie e mostrare la verità sulle cose e sulle persone.
Elisabetta Guida


Mi sono accostata alla sceneggiatura delle Coda del Pavone di Marco Boietti di cui conosco già le poesie per averle lette ed apprezzate, con un senso di curiosità.
Come poteva esprimere il suo sentire poetico, in un racconto sceneggiato, come potevano coesistere questi due stili così diversi fra loro?Devo dire che il risultato è stato molto interessante. Marco Boietti è riuscito a trasferire tutto il suo sentimento in questo racconto che parte da molto lontano.
La Coda del Pavone è il simbolo dell'India come nazione e dell'India sono presenti le sue grandi contraddizioni: la divisione delle caste sociali (le due famiglie), l'attaccamento ai valori familiari anche a scapito della giustizia (Gurnam), il misticismo che questo popolo ha nel suo DNA e che crea un distacco con la vita di tutti i giorni e un rifugio per la mente (Samir), il pudore e la delicatezza dei sentimenti unito all'aspettativa di una vita di riscatto (Talikha e Rajiv).
Tutto ciò è presente e ben delineato nei personaggi sia quelli positivi che quelli negativi, questi ultimi però dominati da una bruciante passione che non sa affrancarsi dal male ma che influirà in modo distruttivo sulle vite di ciascuno di essi (Achal).
Il destino si compie: Rajiv è perso e gli altri personaggi devono convivere con il dolore, il rimorso, il rimpianto. Ma qui avviene
qualcosa di inatteso, l'autore fa sparire la figura di Achal. Ho pensato e ripensato al perchè. Noi lettori vorremmo che trionfasse la giustizia (cosa non sempre facile) o che, nel caso sia il male l'entità vincente, che si conosca il percorso finale del suo trionfo.
Marco Boietti semplicemente elimina dal racconto il personaggio di Achal. Di lui non si saprà più nulla e si possono quindi fare  solo congetture che l'autore lascia al lettore: capirà che la sua malvagità ha seminato distruzione e morte e che il fine non giustifica i mezzi? Talikhta  lo avrà certamente rifiutato per farsi una nuova vita ma prenderà coscienza che la sua passione è stata effimera e non era vero amore perchè il vero amore è ben altro, è prima di tutto la felicità dell'essere che si ama. Niente di tutto ciò:
Achal cioè il male viene seplicemente ignorato, lasciato fuori dalla soglia del semtimento dell'autore  perchè forse l'oblio è la punizione perfetta. Tu non esisti, sembra dire Marco Boietti e quindi non sei niente, sarai dunque fuori dalla nostra vita.
Al lettore è quindi lasciata la piena libertà di interpretazione e potrà percepire che così anche lui avrà un ruolo nel racconto.Questo mi sembra di capire leggendo i versi della Coda del Pavone che ho trovato una lettura affascinante e coinvolgente.
Viviana Platinetti


La coda del pavone è un’originale opera in versi che veste tuttavia i seducenti panni del racconto. È dunque innanzitutto una storia e, per citare una grande autrice come Karen Blixen, una “storia immortale”: una narrazione che, quantunque collocata in uno spazio (l’India) e in un tempo (l’epoca moderna) precisi, si pone in realtà in una dimensione atemporale, valida sempre, in ogni situazione o contesto.
La storia cantata nei versi di Boietti è universale perché dà spazio a sentimenti da sempre esistiti. E che esisteranno sempre. Gelosia, sete di vendetta, ma soprattutto desiderio di ciò che non si ha, un’angosciosa, sfrenata corsa per soddisfare i propri sogni che conduce inevitabilmente - come del resto insegna non solo la storia narrata nell’opera, ma la storia dell’intera umanità - a un’insoddisfazione ancora più profonda.
Per questo La coda del pavone è essenzialmente una storia shopenhaueriana. Come insegnava infatti il grande filosofo tedesco – non a caso profondo conoscitore dell’India – la Volontà divora l’uomo, portandolo a desiderare sempre di più perché sempre insoddisfatto di ciò che ottiene.
Una verità amara, di cui l'opera di Boietti è gravida. E che non può altro che condurre al tragico, inevitabile epilogo.
Giulia Bianchi