LA CORONA D’ACQUA


Sul grigio fondale corrono i sentieri dove rocce alte
e strette portano voci umane,
è la prima volta che vedo la casa della solitudine
dove mi formai nella purezza e nella lentezza
del tempo che decide i suoi ritmi,
tra i coralli e la luce profonda, che meraviglia!,
i pesci che fluttuano instancabili a gareggiare
con la vivacità delle spirali che creano le correnti.
In quel mare rotondo e lucido mi godevo la processione
di lucidi pellegrini,leggenda della natura
color smeraldo dove i segreti marini si susseguivano
senza limiti e godevo osservare incessanti
le squame rosate dei pesci, i cortei delle immateriali meduse,i campi delle alghe sempre fluenti
alle correnti della vita sotterranea.
La luna sopra il mare io sotto il mare
ci guardavamo con gli occhi degli zaffiri tra le conchiglie
arroventate dalle stelle che per non scottarsi si rotolavano
nella torbida sabbia mentre ascoltavo la favola della pioggia che trafiggeva il velo santo dell’acqua
o il sibilo del vento che increspava la superficie
e talvolta scendeva a penetrare la memoria delle grotte,
giù in fondo.


Ma il mio sogno era un porto ricco di cibo
dove i velieri trascinavano nell’ombra la scura chiglia,
quella grande ansa dove le navi uscivano
per esporre al sole l’orgoglio delle vele, mi ricordavano
gli alberi della terra che esibiscono quella infinita
verticalità che il cielo accoglie nitida e calma.
Non so in quale mi porto mi trovavo,il fondo era
sconfinato alla fine presi una via, filare di alghe
che mi portò in un altro paesaggio.Le molteplici sfumature dei verdi dei blu degli argenti
che mia madre mi aveva trasmesso e di cui
andavo orgogliosa irritavano la gelosia dei passanti
attratti da quei colori iridescenti. Io ascoltavo quei commenti e un brivido di fierezza mi vibrava dentro.
Il fondo del mare mi coglieva improvvisa
con quei piccoli grandi moti che mi spostavano avanti
o dove? forse indietro? Nel tutto che scorre senza direzione,nella indifferenza del vivere che non ama
i legami, che corteggia l’esilio della sabbia, prendevano
forma quelle poesie di calcare che mi avvolgevano
con quei voli nel cielo d’acqua.
Tutto rimaneva un sussurro impresso nella mente,
qualunque voce mi insegnava a muovermi con l’eleganza
di una perla perfetta.
Così avevo imparato come comportarmi quando il mare
mi corteggiava o mi faceva rotolare giù
dai dolci pendii sabbiosi.
Ambivo vedere,conoscere; poi stanca trovavo il posto lontano dalla risacca.E così, al sicuro mia madre
spalancava nuovamente la porta alla luce e all’acqua
che suonava magica.


Il mare è un’antica disputa dove gli spiriti si contendono
l’incontrastabile autorità e le creature affilano le armi;
l’aria del mare è carica di interminabili desideri di gloria
che vanno a frantumarsi nell’ora della disputa
sulle acuminate rocce e ogni forma di supremazia
si dissolve in invadenti timori asserviti alla fine
ai neri demoni.
La legge delle stelle e la formula dei fiori cambia colore
al mare,la sabbia procede arretra e si trasforma
nei merletti capricci del tempo, la schiuma esibisce
trine di bolle d’aria ricamate con mano paziente
dalle sirene,i fondali,prima d’oro, si fanno scuri a sera
quando la luce del sole diviene foschia dove brilla
la mia pregiata luce.
Così mi addormento tra le dolci correnti che piegano
le rose del mio giardino e sogno tutto quello
che avrei potuto essere il giorno in cui sarei uscita
da quella madreperla per scoprire ciò che vive
sopra quell’alto blu.
Il mattino mi sveglia con la fuggente carezza,
l’acqua mi circonda in una profondità che non conosco
e il dolore di non sapere insegna il nulla
anche se a volte ce lo fa desiderare, come la morte
della coscienza e l’incorporazione in una verità definitiva.
Mi sorprende la luce che vedo irradiare dall’alto,
in superficie, forse è un segno di speranza che mi induce
a non temere di cadere persa nel girovagare per mari
nell’interminabile lavorio dell’acqua,accompagnata
dai miei sogni d’amore.


nel mondo perfetto dove i riflessi rimbalzano
chiari e azzurri sulla piazza dove si erge l’altezza
più maestosa della torre di corallo ed intorno i portici
dove passeggia la curiosità dei pesci.
Mi sento cercata dai riverberi del sole sopra le arcate
di corallo, l’istinto si confonde, infinito si fa ombra
che fluisce, continuo ad esistere nelle tenebre
silenziose alla vita,mi riempio di fluttuanti passioni
che mi circondano nello splendore dell’ora meridiana.
Mi ritrovo in un antro di rocce,giù più in basso,
dove l’acqua più quieta incontra nuove figure di calcare
che attendono le malinconiche carezze della luna,
anch’io mi nascondo nella notte delle mie notti
ad ascoltare i sospiri dell’acqua che parlano
alle onde spettinate, ai banchi di corallo,
alle lance nere dei ricci che si aprono e si chiudono
al lecito piacere,alla minuscola eleganza dei cavallucci
di mare.
Anch’io contemplerò questo mondo quando sboccerò
margherita d’argento,quando scenderò sugli scivoli
di sabbia nella risonanza dei giochi per riemergere
inquieta perché non é dato equilibrio
al mio eterno peregrinare. Ricordo nella notte quella luce
che non era il chiaro di luna ma mi attraeva
con un’attrazione più decisa: chi poteva violare la pace
e il buio che trovano le radici nei fondali solitari?
Chi recitava quei versi nel grande mare di Nettuno
quando l’ora della notte veste l’abito più scuro?


Un rumore scosse innaturale la quiete di acque dormienti,
i muri d’acqua si spezzarono in mille frantumi e il terrore
dei pesci iniziò ad avere le ali della paura,traiettorie
di guizzi in vie che fuggono a destra e a sinistra,
sopra o sotto.
Che cosa può pensare la sferica sensibilità
di una giovane perla per l’ombra sconosciuta,
di un’ignota figura che esiste anche nella fredda tenebra?
Si chiuse istintiva la porta del guscio madre
che avvertì la straniera sensazione che il male
era penetrato triste in quel mondo lasciando sbocciare
una paura sconosciuta che si chiamava padrona dell’anima.
Forse qualcuno mi sussurrava quella fede colma d’angoscia
chi aveva parlato ?
Il dolore insegna la strada fosca della notte, come appare
blasfema l’agonia della vita, cos’altro infliggere alla vita,
un teschio senza occhi?
Le lacrime si sono svegliate e scendono
come il fiume di sangue della malinconia quando il guscio
si apre scuotendomi da ogni parte. Accade davvero
o è la gelosia di un sogno vero o solo finto?
Fuggire subito, abbandonare quella casa di madreperla,
infrangere quella vocazione di rimanere nel guscio,
quell’illusione di tornare sabbia mi gela e così si infrange
quel desiderio.
Voci nuove ora brusii si fanno sentire anche quando
l’ultimo filo della speranza mi lascia
per fuggire dormiente,sento recidere la bocca di mia madre e dal guscio schiuso la vedo un’ultima volta
splendere nel prato d’argento del cielo,


chiudo gli occhi quando capisco che quella tenerezza
si stava dileguando per diventare oblio nella memoria
dei morti.I suoi giorni erano passati, mi aveva donato
la sua casa e io dentro pulsavo come il cuore,
perdevo quell’incanto che vedevo galleggiare per poco
prima di scendere da dove eravamo venute.
Mi trovai senza farci caso nel palmo carezzevole
della mano che mi faceva lentamente roteare
per guardarmi meglio. Stavo per morire,
la stanchezza mi prese,mi sentivo errante cometa
sino a quando mi abbandonai.
Avevo lasciato il mondo e la vita piena di passato
ma non un nuovo esilio era ad accogliermi.
Un nuovo mondo mi guardava sul fondo del sole accecante,sono un corpo che il vento appassisce.
Dormo,mi sveglio,mi svuoto di acqua di sabbia di distanze.
Resto ai confini del muto dolore dove passano nuvole nere
e mi incontro con altre perle, più piccole che piangono
i miei stessi affanni, la madre caduta nell’abisso celeste.
Il destino mi ha portato a non farmi sentire più una perla,
l’esistenza ha perso quell’essenza che evolve
in un indefinito esistere sino a quando due dita
di un bianco guanto mi prendono facendomi lasciare
le altre bianche sfere per astratto progetto.
In una sala dove aspettava il giallo lucente di un cerchio
mi accolse una vasca piena di liquido ma, amara illusione,
non nuotavano i colori dei pesci, l’inganno del mare mi
coprì di mistero,poi un breve tedio mi fece cadere
nel mondo del sonno dove mi spogliai da ogni pensiero.


Solo gli archi di una musica mi destarono e quell’immagine
che ero aveva perso ogni ricordo: un diadema di rare
gemme mi ospitava al centro sul capo di una donna
che avanzava tra due ali di uomini e donne
esprimevano approvazione e lusinghe e l’ invidia
e la luce di altri gioielli.
Affascinati dal lustro tutti si inchinavano al nostro
passare. Tornavo ad essere quella perla perfetta,
lucente e preziosa e tutta una corte mi onorava
come sul fondo del mare che non vedrò mai più.
L’aurora e il tramonto del potere di cui io sono
i simbolo, me lo vieta.