Il mondo non è tenero con i viaggiatori. Il vagabondo, il nomade,
il fuggitivo sono spesso oggetto di disprezzo. In un mondo
utilitarista sono dei perdenti. Sono il rimprovero vivente verso le
nostre scelte a favore della stabilità e dell’assicurazione sulla
vita.
La globalizzazione può avere aperto la strada ad un certo tipo di
poligamia dei luoghi ma chi viaggia nei luoghi sacri non è neppure
un semplice giramondo che accumula punti da frequent-fliyer. Sono
quelli che chiedono cose fuori moda come risposte personali alle
domande fondamentali e per trovarle si piccano ancora di girare il
mondo. Vogliono indirizzi. Sono avidi ma esigere i beni immobili
cosmici significa rinunciare al rassicurante conforto delle lobby
dell’edilizia. E lo sanno.
Tuttavia il mondo ha bisogno dei suoi nomadi. Ha bisogno della luce
ferina dei loro sguardi, del ribollire del loro sangue. Riconosce,
sia pur a malincuore, l’integrità del loro senso del ritorno che
non permette mai loro di accontentarsi di false alternative. Ecco
perché la tradizione indiana (come molte altre)ha creato uno spazio
per i suoi viaggiatori sacri: mendicanti, asceti.
Ma il problema più grande del viaggio è che non ci sono garanzie. I
viaggiatori possono fare l’atto di muoversi, girando intorno senza
posa; da qualche parte lungo il percorso cominciano a chiedersi se
la destinazione esista veramente. Nessuno sa quando (o se) arriverà
il momento: quando la ripetizione cederà il passo al sublime e lo
sforzo meccanico si trasformerà in estasi; quando l’eredità si
intersecherà con l’ispirazione e il sentiero troppo battuto
eploderà nella strada non percorsa.
Non è tutto poi così eroico come si crede. Molti sentono
l’irragionevole bisogno di lasciare la via maestra per prendere
scorciatoie, molti perdono la strada, la trama, a volte se stessi -
il che succede anche quando trovano di più di quanto avessero
immaginato. Ma sembrano tutti preferire i rischi del viaggio a una
stabile e avvolgente domesticità, preferiscono ancora il mal di
mare al mal di casa.
Ed è per questo che a quell’urgente irragionevole soggiornare
nell’incertezza è stato dato un nome tanto rispettabile:
pellegrinaggio.